Guzman Polymers & Prosilas
Rassegna stampa
Intervista
L’iniziativa è stata promossa da Guzman Polymers e noi, in quanto utilizzatori di polimeri per lavorazione industriale, siamo stati chiamati a dare il nostro contributo nella diffusione di un uso intelligente e responsabile della plastica.
Parlando di polimeri, non possiamo non ricordare quanto le materie plastiche abbiano dato un’accelerazione e un contributo fondamentali alla produttività dell’industria, specialmente in un settore come il nostro, quello della stampa 3D, dove proprio le plastiche hanno consentito lo sviluppo di comparti produttivi che prima non venivano neppure esplorati, a causa l’impossibilità di generare le economie di scala necessarie a giustificare gli investimenti iniziali.
Al posto di una spesso ingenua “Plastic free”, campagna ormai molto in voga, ci troviamo quindi d’accordo con un più utile e fruttuoso concetto di “Plastic Care”, ossia una divulgazione sana circa l’utilizzo consapevole delle materie plastiche. Approfondiamo insieme alla nostra CEO, Vanna Menco e a Fulvio Confalonieri, General Manager di Guzman Polymers.
In che modo la plastica ha influenzato e sta influenzando concretamente la produzione industriale?
V.M.:La scoperta delle materie plastiche ha influenzato ogni settore industriale, portando benefici e nuove possibilità di sviluppo. La scelta è ricaduta su questi tipi di materiale per il numero di applicazioni possibili e per le caratteristiche tecniche. Molte innovazioni tecnologiche e molti prodotti hanno inoltre beneficiato dell’utilizzo dei polimeri: ciò ha permesso uno scatto verso una progressiva modernizzazione che ha investito tutto il sistema di vita che conosciamo oggi. La manifattura additiva è nata nel1986 quando Chuck Hull pubblicò il brevetto dell’invenzione della stereolitografia. Il processo implicava la creazione di oggetti solidi in polimero fotosensibile: strato dopo strato si indurisce la parte stampata in 3D. Possiamo affermare che è proprio grazie ai polimeri che si è giunti alla tecnologia additiva.
F.C.: Se nel 1800 si muovono le prime scoperte nel campo dei polimeri, è però nel 1900 che la scienza accelera compiendo passi da gigante, scoprendo e industrializzando in breve tempo nuovi tecnopolimeri che si riveleranno fondamentali per lo sviluppo dell’umanità. Non c’è infatti campo tecnologico che non abbia tratto vantaggio dall’impiego di materie prime plastiche: il settore medico, tessile, alimentare, automobilistico, ecc. L’introduzione della plastica nell’ampio scenario dei materiali ha aperto nuove strade che erano impensabili fino a 60 anni fa, anni in cui la produzione mondiale si attestava intorno ai 15 milioni di tonnellate di plastica per essere oggi ben oltre i 350 milioni, il 51% proviene dall’Asia, il 18% dagli Stati Uniti e il 17% dal continente Europeo.
Quali prodotti o categorie merceologiche risulterebbero più a rischio, se abolissimo il consumo di plastica? Con quali svantaggi per il mercato, per l’uomo e per il Pianeta?
V.M.: L’abolizione totale delle materie plastiche avrebbe un impatto epocale. Rinunciare a un certo tipo di performance, di applicazione e di design sarebbe una grande e, forse, inutile sfida. È sensato concentrare gli sforzi verso l’innovazione, per un utilizzo più consapevole dello sviluppo di materiali e di processi a basso impatto ambientale e per la creazione di sistemi più efficienti per la gestione dei rifiuti. L’utilizzo dei polimeri agisce già nei processi di miglioramento dell’efficienza energetica.
F.C.:Abolire la plastica, o più in generale i polimeri, non è possibile e nemmeno auspicabile, ma soprattutto: perché farlo? Una cosa deve essere chiara: l’abolizione della plastica significherebbe la regressione totale dell’umanità e credo che ciò non gioverebbe a nessuno. L’introduzione della plastica non è stato un errore di valutazione bensì la fantastica inventiva dell’uomo che è stato capace di trasformare un bene in un altro bene più prezioso. L’elenco delle applicazioni plastiche è infinito ma, per capire che un mondo senza plastica non è certo un buon augurio, è sufficiente pensare alle innumerevoli applicazioni di alcuni tecnopolimeri in campo medico o all’imballaggio degli alimenti, grazie al quale si riducono gli sprechi, estendendo la shelf life dei prodotti confezionati e garantendo qualità e sicurezza; o anche alle tecnologie di comunicazione. La plastica rappresenta quindi una risorsa potente e versatile, per cui gli sforzi della scienza dovrebbero semplicemente concentrarsi sulla sua continua ottimizzazione, valorizzazione, mentre quelli del normale cittadino sulla gestione del prodotto finito e degli scarti in accordo a quanto espresso dalle normative vigenti in tema di tutela e valorizzazione dell’ambiente. Senza la plastica, e questo è un concetto chiaro, si rischierebbe di tornare alle centrali a carbone. Che senso avrebbe? Quello delle centrali si tratta solo di un esempio tra tanti. Il progresso non può tornare indietro nemmeno tenendo conto che a volte, negli scorsi anni, tanti hanno usato questo materiale straordinario in modo improprio, o eccessivo, o ancora non sono stati in grado di smaltirlo. Adesso ci sono tutte le basi per l’utilizzo consapevole: il “plastic care”, appunto, che pone l’attenzione anche sul “fine vita” del prodotto per non sprecare né inquinare.
Quali segmenti di mercato beneficiano maggiormente dall’uso delle plastiche? E quali altri potrebbero beneficiare di un loro utilizzo maggiore?
V.M.:Il settore automotive è stato uno dei primi ad avvalersi delle soluzioni provenienti dalla manifattura additiva con polimeri plastici: ad oggi è uno dei dei suoi maggiori fruitori. Anche il campo medico ha potuto sviluppare nuove e utili applicazioni dall’alto valore sperimentale proprio grazie alle plastiche, versatili e sterilizzabili. Senza dimenticare gli altri settori industriali che attraverso l’uso delle tecnologie additive e, di conseguenza, i polimeri, possono produrre più velocemente e a prezzi più vantaggiosi. Davvero una grande spinta verso l’innovazione tecnologica.
F.C.:In primis direi l’imballaggio, il cui mercato in Europa rappresenta, da solo, circa il 30% del volume complessivo, seguito poi dall’edilizia, automobilistico, elettrico ed elettronico. Certamente nel settore edile stiamo osservando un forte incremento nell’uso dei polimeri per l’efficientamento energetico; altresì dicasi per il settore E&E nel transportation, per c0ui i nuovi sistemi di propulsione sono ingegnerizzabili grazie all’impiego di tecnopolimeri molto performanti.
Parliamo di materiali: commodities, engineering, tecnopolimeri e biopolimeri. Quali trovano oggi maggiore applicazione nell’ambito della produzione industriale e/o additiva? In quali ambiti e con quali risultati/ benefici concreti?
V.M.:Nonostante le tecnologie di manifattura additiva possano supportare un numero ancora limitato di materiali plastici, molti sforzi si stanno concentrando permigliorare la sostenibilità della filiera. A questo proposito possiamo parlare dell’introduzione del PA11, una poliammide bioplastica che deriva da fonti rinnovabili. Viene utilizzata per la conversione di alcune produzioni sfruttando le sue caratteristiche migliorative in termini di impatto ambientale.
Anche i tecnopolimeri sono oggetto di studi approfonditi per operazioni di metal replacement: consentono infatti di migliorare le performance in termini di risparmio energetico e di sostituire l’uso dei metalli la cui lavorazione continua ad avere un forte impatto ecologico ed economico.
Possiamo, inoltre, citare il policaprolattone. Largamente utilizzato nel campo medicale, è un materiale grazie al quale siamo in grado di stampare in 3D dispositivi impiantabili e assorbibili dal corpo umano: stent bronchiali e strutture per agevolare la ricrescita ossea.
F.C.:Il settore dei biopolimeri ha certamente registrato una crescita impressionante negli ultimi dieci anni seppur i settori applicativi sono, attualmente, ancora limitati. I tecnopolimeri più tradizionali, penso per esempio alle Poliolefine, Nylon, Policarbonato ecc continuano ad essere trainanti e difficilmente sostituibili in un’ottica massiva. Piuttosto, ciò che attualmente si sta osservando è, per questi stessi polimeri, lo sviluppo di tecnologie produttive volte alla riduzione dell’impatto ambientale, pensiamo per esempio utilizzo di feedstock alternativi al petrolio (tall oil per esempio); fonti rinnovabili; riciclo chimico e meccanico.
La plastica è al centro di molte polemiche. Tuttavia la questione del suo corretto smaltimento non viene mai approfondita, né affrontata seriamente, con un grande spreco di risorse e una crescente insoddisfazione. Perché?
V.M.:Il tema dello smaltimento dei rifiuti è pieno di criticità che, a oggi, non hanno ancora una soluzione effettiva. Il primo grande errore è considerare la plastica come un unico materiale o un insieme di materiali simili. In realtà, tra polimeri ci sono delle differenze chimicamente sostanziali. Per prima cosa bisognerebbe ribaltare l’idea consolidata che un prodotto in plastica sia qualcosa di economico e scadente: ciò può essere fatto, ad esempio, creandomanufatti che abbiano valore sul mercato e nel tempo ed evitando, per quanto possibile, gli oggetti monouso.
Successivamente, occorre affrontare il tema dei rifiuti con un approccio sistematico, che parta dalla corretta informazione del consumatore fino ad arrivare al miglioramento dell’organizzazione della catena di smaltimento e riciclo.
F.C.:In generale io credo che il tema del corretto smaltimento della plastica e valorizzazione della stessa sia un tema ancora complicato da gestire nella sua totalità. Pertanto, credo che sia culturalmente che tecnologicamente ci vorrà ancora del tempo prima che il sistema raggiunga la sua massima efficienza. Fermo ciò, e a livello del comune cittadino, credo si debba insistere e persistere su alcuni punti cardine che sono: in primis riduzione degli sprechi, e ciò a prescindere che si tratti o meno di materiale plastico; il rispetto dell’ambiente e un maggiore senso civico, per cui il corretto smaltimento di ogni bene a fine vita diventi una pratica quotidiana scelta e non più subita. Piuttosto, ciò che più mi sorprende e spaventa, è osservare come spesso il tema della plastica venga dibattuto senza tenere conto dei dati scientifici più accreditati, giungendo spesso a conclusioni distorte ed ingannevoli e che in tanti casi portano a legiferare soluzioni tecniche decisamente discutibili.
Nel suo libro “Il paradosso della plastica”, Chris DeArmitt elenca una serie di falsi storici diffusi in merito alla plastica. Quali sono i più pericolosi?
V.M.:Diamo merito all’autore per aver scardinato molti, se non tutti, i luoghi comuni veicolati dai media sulla plastica. Ha suscitato la mia attenzione il concetto della sostituzione della plastica con materiali biodegradabili (come ad esempio la carta) e ho trovato lodevole l’approccio scientifico che l’autore vi ha dedicato. La lavorazione della carta ha un maggiore impatto sulla produzione della CO2. Possiamo ben intendere, perciò, chele cause dell’inquinamento mondiale non sono i materiali in sé, ma i processi di produzione e smaltimento. Di conseguenza, la soluzione è rendersi conto che è il comportamento umano il fulcro di questo cambiamento.
Inoltre, non è vero che le materie plastiche sono la prima causa di inquinamento. Questo è stato dimostrato da un istogramma fornito dall’EPA (U.S. Environmental Protection Agency), che ci mostra come in realtà siano la carta, il cartone (26.0%), i rifiuti alimentari (15.2%) e gli sfalci da giardino (13,2%) le maggiori cause dei rifiuti nel mondo.
F.C.:Il merito che certamente va dato al dr. Chris De Armitt nel libro “il paradosso della plastica” (per altro gratuito e liberamente scaricabile) è quello di aver mosso l’opinione pubblica a rifocalizzare la discussione sulla plastica non più su vaghe informazioni, spesso fake news, bensì su fatti e dati scientificamente provati. I consumi reali della plastica rispetto agli altri materiali; l’impatto ambientale della plastica verso materiali erroneamente considerati più green da gran parte dell’opinione pubblica; la pericolosità della plastica per il genere umano, sono solo alcuni degli esempi che il dr. Chris DeArmitt sottopone all’attenzione del suo pubblico cercando di argomentarli sempre in modo estremamente scientifico. A tal proposito, mi permetto di dire che l’accesso all’informazione via internet sia stata una grande conquista del nostro secolo ma al tempo stesso estremamente pericolosa perché diventa difficile, se non talvolta impossibile, filtrarla e verificarla. Quello delle microplastiche, per esempio, sulla cui origine e pericolosità spesso si dibatte, è un capitolo estremamente interessante perché libera il terreno da informazioni spesso false e su cui si basa gran parte della campagna demonizzatrice contro la plastica.
Senza l’educazione delle persone all’utilizzo e al corretto valore della plastica il problema sarà sempre osservato da una prospettiva negativa. Da dove possiamo cominciare a sovvertire il paradigma e ampliare la visione?
V.M.: Fornire informazioni più scientifiche e meno sensazionalistiche è il miglior modo per creare una cultura e, di conseguenza, un comportamento corretto. Scorciatoie come spostare l’attenzione su un nemico comune non sono utili a risolvere il problema, anzi, deviano le energie nella direzione sbagliata. L’unica soluzione è quella di affidarsi al progresso tecnologico e scientifico.
F.C.: Ci vuole innanzitutto un’informazione il più possibile scientifica e neutrale, lontana cioè da ogni genere di gioco lobbistico. È necessario poi insistere su un processo educativo volto ad un uso serio e responsabile della plastica, ma direi più in generale di ogni risorsa, e che parta dai giovani, fin dai primi anni, con molta pazienza perché questo processo richiederà molto tempo. In termini legislativi poi ci vuole serietà e determinazione affinché ogni azione contro l’ambiente non passi impunita. Infine, ma non da ultimo, il modo politico deve assecondare lo sviluppo di un piano industriale lungimirante.
PlastiCare, la campagna di divulgazione finalizzata ad un uso più consapevole ed equilibrato della plastica: come interpretate personalmente questo concetto?
V.M.:Partiamo dal concetto di consapevolezza. Essere consapevoli vuol dire essere “in contatto”, “in relazione”, saper stare nel rispetto dei limiti. E questa è una cosa infinitamente più complessa dell’essere meramente consci dell’accadere di un evento. Prendersi cura dell’ambiente vuol dire, innanzitutto riconoscere l’esistenza dell’Altro, il quale ha il nostro stesso valore e rispettarne i limiti, i bisogni e le possibilità.
Se partiamo da questa consapevolezza ecco che la sostenibilità, intesa non solo come attenzione scrupolosa a tutti i processi (siano essi di produzione, di smaltimento e di riciclo) ma anche e soprattutto attenzione a fornire una risposta che sia adeguata ai bisogni, diviene cura per eccellenza.
F.C.: La plastica è una risorsa immensa e non un male, ma ovviamente, e come tutte le cose, può diventarlo se usata in modo irrispettoso e disequilibrato. Plastic Care per me significa quindi uso intelligente e responsabile della plastica e riduzione degli sprechi. Pertanto: Less Plastic free, More Plastic Care!
Una cosa abbiamo ben chiara: l’abolizione della plastica significherebbe una pesante regressione a fronte di pochi vantaggi. L’introduzione della plastica non è stato un errore di valutazione, bensì l’invenzione dell’uomo, capace di trasformare un bene in un altro bene ancora più prezioso. La plastica va però considerata e trattata con cura – PlastiCare, appunto – affinché i problemi che riguardano il suo smaltimento non offuschino i benefici che procura il materiale in sé.